Il Nuovo Lupo
Ottavio Zanetti, poeta dimenticato

 

  

 

Ottavio Zanetti, dimenticato poeta lupatotino, in una delle sue più belle poesie, “el rossignol”, parla di un bosco, della sua frescura e dei rami che nascondono un po’ di luna. Leggiamo insieme:

   Quando, tramontà el sol da qualche ora,

                                   el bosco el trema par la so frescura

                                   e le rame le sconde un po’ de luna,

                                   con du colpeti d’ala el rossignol

                                   salta sul palco de na piopa pigna.

                                   Sensa maestri e sensa professori

                                   a lu ghe basta de compagnamento

                                   el rumor che fa l’aqua de le fosse

                                   e le foie che scissola e ‘l respiro,

                                   che sa da bon, de sta gran note ciara.

 

Il bosco di cui si parla è senz’altro quello che si vede nella foto e le fosse erano quelle che scorrevano dietro la villa dei Palazzoli. Per la sensibilità del poeta lo scenario è ideale per il concerto del suo “rossignol”, accompagnato dal rumore dell’acqua e dal fruscìo delle foglie che diventa il “respiro” della notte.

Oggi, di tutto questo rimane ben poco. Una serie incredibile di amministratori, sensibili a tutto meno che alla poesia, ha distrutto tutto quello che c’era da distruggere e adesso del grande bosco  restano solo poche piante vicino alla villa. E’ un vero peccato perché una macchia verde di alberi secolari in mezzo al paese oggi costituirebbe un prezioso patrimonio per tutti. Purtroppo il bosco non è stato il solo ad essere vittima dell’ignoranza e dell’ingordigia. Hanno fatto la stessa fine il Torricello, la torre del Cotonificio e la corte di Ca’ dei Sordi. Basta guardare cosa c’è oggi al loro posto per avere un’idea dello squallore culturale che ha accompagnato la crescita del nostro paese dal dopoguerra fino ai primi anni Novanta.

Ci restano i versi del poeta, questo è vero, ma fra poco spariranno anche quelli perché sono ben pochi ormai quelli che li ricordano. C’è un suo libriccino, in biblioteca, “La campana de Sorio”, nascosto tra grossi volumi e, se non se fanno un po’ di copie, andrà a finire che sparirà anche quello.

Eppure Ottavio Zanetti meriterebbe di essere ricordato. Le poesie che ci ha lasciato non sono molte, però sono significative e rappresentano comunque un periodo non lontanissimo della storia del nostro paese che varrebbe la pena di studiare con più attenzione di quanto non sia stato fatto fino ad oggi. Zanetti, nella prima guerra mondiale, è stato prima ufficiale di fanteria  e poi aviatore. Aveva studiato al Maffei, ma aveva dovuto lasciare gli studi. La laurea riuscì ad ottenerla quando era ormai nell’età di mezzo. Poesie ne aveva sempre scritte, ma circolavano soltanto fra gli amici. Si decise a mostrarsi in pubblico soltanto nel 1952 vincendo il prestigioso concorso “Il grappolo d’oro”. L’anno dopo, purtroppo, morì lasciando ben poco di tutto quello che aveva scritto.

Quel poco, comunque, è rimasto ancora nella memoria, anche se di poche persone. Quando cominciai il ginnasio al  Maffei, erano passati molti anni dai tempi del nostro poeta. Eppure un professore di lettere, quando seppe da dove venivo, disse che se Verona aveva avuto Barbarani, San Giovanni Lupatoto aveva avuto Zanetti e si mise a recitare alcuni versi dove si raccontava di tale Bepi Nigossa che aveva colpito “con la scaia” un capo uomini “ingordo e manesco”. I miei compagni si erano messi tutti a ridere alla descrizione del personaggio cattivo: “imbriago marso, in meso a ‘na stradela, impastrocià de bigoli e sardela”.

So bene che oggi gli interessi sono ben altri e che quei versi fanno sorridere, ma anche vivendo il nostro tempo è possibile, guardando una vecchia foto, pensare alla storia come ad una corsa a staffetta dove il testimone è rappresentato dalla poesia che i poeti di tutti i tempi hanno consegnato a quelli che sono venuti dopo di loro.                   

                                                                                                                                   Igino Maggiotto

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