Il Nuovo Lupo
Le finestre del vicolo

Che questa storia sia vera o inventata, è argomento di discussione. Meglio sarebbe che la discussione avvenisse dopo un’approfondita ricerca, fatta possibilmente da tutti i protagonisti dell’ipotetico dibattito, in modo da avere tutti gli stessi elementi per esprimersi. Ma, come è noto, le discussioni nascono proprio dal fatto che gli interlocutori partono da diversi livelli di conoscenza, per cui l’argomentare di ciascuno è frutto  soltanto di ciò che uno crede di sapere, senza rendersi conto che il livello di chi ascolta potrebbe essere ben diverso. Non potendo ovviare all’inconveniente, mi limito a riportare la storia così come mi è stata raccontata da una delle protagoniste, una quindicina d’anni dopo il fatto.

Il 25 aprile 1945 il paese pullulava di partigiani, o meglio, di individui che si spacciavano per partigiani. Non soltanto il nostro. Tutti i paesi erano pieni di partigiani siffatti e così anche la città, dove una marea di gente marciava cantando inni che prima di quel giorno non si erano mai sentiti. I ponti di Verona erano stati fatti saltare dagli ultimi quattro tedeschi rimasti in città mentre tutta quella gente che ora marciava era chissà dove.

In quei giorni succedeva un po’ dappertutto che venissero pubblicamente rapate le donne accusate di aver collaborato con i fascisti o i tedeschi. Nessuno si curava di verificare i fatti ed accertare se le accusate fossero veramente colpevoli di qualcosa. Bastava che uno facesse una qualsiasi insinuazione, magari nei confronti di qualcuna che gli aveva detto di no, e per la disgraziata non c’era scampo. Sentenza subito emessa e subito eseguita. Non occorreva grande coraggio mettersi in cinque-sei contro una ragazza indifesa.

Ecco dunque alcuni di questi eroi del 25 aprile inseguire per i vicoli una donna che correva più che poteva. Non ci misero molto a raggiungerla e per la poveretta cominciò l’incubo. Infatti, quelli non volevano soltanto i suoi capelli.

Era una bella giornata di sole, ma le finestre del vicolo erano stranamente chiuse. Tutte, meno una.

“Lassèla star, farabuti!” – La voce era quella di un vecchio che si era affacciato agitando un bastone. “E cavève quei fassoleti, che no sì degni”. I fazzoletti in questione erano quelli rossi, che i partigiani si mettevano al collo o al braccio.

Passato il primo momento di stupore, il branco reagì aggredendo il vecchio e colpendolo con il suo stesso bastone. A quel punto, come per miracolo, cominciarono ad aprirsi alcune finestre e poi molte altre. Il vicolo intero fu tutto un urlare di donne: “Vigliachi! Porchi! Delinquenti!”

Le urla arrivarono lontano, tanto lontano da allertare una pattuglia alleata che prese a correre nel vicolo. Quelli del branco furono subito raggiunti e circondati. Le donne cercarono di spiegare quello che stava succedendo al capo pattuglia, un omone di colore alto due metri, che non ci mise molto a capire.

“Voi non partigiani, voi bandidos” – disse sputando in terra. Infatti i partigiani, quelli veri, arrivarono qualche ora dopo. Uno sparuto gruppo che veniva dalla montagna circondato da decine di curiosi. In altre località i partigiani erano stati davvero protagonisti nei giorni della liberazione, mentre qui da noi non si erano mai visti. Qualcuno disse che forse era stato meglio così.                                      

Il vecchio della finestra si ristabilì nel giro di un paio di giorni. Quando ricordava questa storia, diventava pallido dalla rabbia ed agitava il bastone come se avesse ancora davanti agli occhi quei delinquenti, non dimenticando mai di precisare che quegli aggressori li aveva visti altre volte in paese, alcuni mesi prima, ma allora indossavano la camicia nera. Le donne del vicolo parlarono dell’episodio per anni, raccontando che la ragazza aggredita, quello stesso giorno, lasciò il paese e non si rivide mai più.  Non si era mai interessata di politica. L’unica sua colpa era stata quella di innamorarsi di un giovane al quale non aveva chiesto se avesse  tessere di partito in tasca, ma soltanto se le voleva bene.

                                                                                                       Igino Maggiotto   

nella foto i alto:

nella foto sotto: Ca` dei sordi

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